Opinioni futili per ascoltatori inesperti


il 2013 è stato un anno bellissimo

ascolto musica per leggere le classifiche di fine anno. soprattutto per lamentarmene e, come accessorio, decidere cosa dovrei ascoltare per essere alla moda (o non esserlo, ho un passato da metallaro). per fortuna nel 2013 le classifiche le possono fare tutti e, nel web, vige l’assoluta democrazia: nessuno conta niente e la classifica di fine anno (anche quella di pitchfork) resta un’operazione che riempie esclusivamente l’ego di chi la scrive. è comunque un ottimo argomento di conversazione.

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PARTE I

le cose che ho realmente ascoltato con foga sono, in generale, deprecabili. sono però talmente perfette nel connubio di musica, immagine e racconto che non posso fare a meno di farle mie anche se, solitamente, non si rivolgono a me.

Britney Spears – Work Bitch

un manifesto politico e programmatico di un’anziana signora che cerca in tutti i modi di ristabilire le distanze. purtroppo per le ci sono in giro delle britney più giovani e più scalmanate. non riuscirà a riprendere il trono ma riempirà di spocchia tutte le sale spinning possibili. [NOTA: il tempo è passato ma tra le giovani poche sono in grado di fare cose del genere]

Lady Gaga – Artpop

e madonna continua a rincorrere. una pietra miliare, il suo disco migliore.

Selena Gomez – Stars Dance

una macchina da guerra. dalla disney a spring breakers (con un ruolo disney friendly) passando per un disco che è un bignami di come deve suonare una teen star: ammiccante (le ragazzine devono immedesimarsi, i ragazzini innamorarsi, i vecchi bavosi), trasgressivo e paraculo (stacchi simil dubstep, pezzi urban, outtake di rihanna). perfetto. è il mio disco favorito del 2013 e quello che mi ha accompagnato in ogni viaggio in auto.

Ariana Grande – Yours Truly

20 anni.  una voce che le permette di fare ciò che vuole e il cervello piantato negli anni 90. ed è più giusto che una ragazzina americana cerchi le sue radici nel R’n’B che riempiva MTV piuttosto che un giovanotto italiano le cerchi nei nirvana. ariana grande è, in sintesi, una gloriosa operazione di recupero della memoria storica: riscoprire quello che ci siamo persi mentre ascoltavamo i melvins.

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Lea Michele – Cannonball

il disco più atteso del 2014. il singolo è già un classico: occhi chiusi, intensità e mani enfatiche. grande momento di redenzione.

Iggy Azalea – Work

il grande manifesto post femminista del 2013, mille volte più potente di femen, mille volte meno consapevole di julie ruin. ma, in un mondo di automi, basta solo la sua presenza scenica per mandare a casa tutti.

Demi Lovato – Demi

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la syd vicious del teen pop USA. autolesionismo, rehab, cocaina come non ci fosse un domani. morgan vorrebbe essere lei ma, è noto, la classe non si compra al supermercato.

Ellie Goulding – Halcyon Days

ha tutto. è inglese e, di conseguenza, ha una classe superiore rispetto alle amichette americane. ha il singolo over the top che viene buono sia per il discobar della provincia, per i club fighetti e per le discoteche alternative (esistono sempre? qualcuno ci va?). piace agli hipster e piace (per osmosi) alle mamme e alle figlie. è aggressiva quanto basta. di quelle citata è l’unica che potrebbe stare in una classifica vera visto che il disco è, realmente, un gioiellino pop elettronico (con l’accento su pop).

Annalisa – A modo mio amo

dopo l’exploit di sanremo (sono ancora turbato) annalisa ha tirato fuori un pezzo che entra di diritto in ogni canzoniere da spiaggia che si rispetti: i futuri classici si costruiscono ora. un elegia all’amore universale ed alla bellezza delle cose semplici, per gente semplice.

Emma – Schiena

un panzer che non fa prigionieri. coerente come solo gli AC/DC, un treno lanciato verso il trono di miglior cantante e performer italiana degli ultimi 20 anni.

Miley Cyrus – Bangerz

viene ricordata per le cose sbagliate. l’evoluzione da hanna montana ad oggi è perfettamente coerente: è l’uccisione del padre e la riconquistata libertà, è l’emancipazione e la consapevolezza che, nel 2013, basta poco. poi ci si può concentrare sulle nudità (sticazzi, nel mondo dell’internet i capezzoli sono una rarità) e sullo spinello: io sottolineerei invece la nana e wrecking ball, un orrendo pezzo AOR degno dei peggiori gruppi da radio FM americana che, tra un twerking e una toccatina diventa sublime.

Lily Allen – Hard Out Here

lo aspetto da 4 anni e non ho le parole. il vero amore è per sempre.

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PARTE II

dischi belli, semplicemente. di quelli che verranno raccontati in futuro.

Arcade Fire – Reflektor

dalla vetta si possono permettere di strafare con un album sbagliatissimo, pretenzioso e, a tratti, fastidioso. un disco presuntuoso che stratifica elettronica, chitarre e suoni dal mondo in maniera spesso disorganizzata e quasi cacofonica. un disco importante e, a suo modo, meraviglioso.

Kanye West – Yeezus

si sa vendere e, per questo, è in cima ad ogni classifica. in un mondo normale sarebbe considerato un artista d’avanguardia, anche solo per la moglie, per i campioni e per l’uso consapevole del video.

Laura Marling  – Once I Was An Eagle

anni fa suzanne vega andava in classifica. ormai le folksinger sono materiale da buongustai (è pieno, ma è anche pieno di bar ma non sono mica tutti puliti), soprattutto quando non calcano la mano nell’immaginario hippy-nero-depresso-bucolico. il folk è materia semplice e difficilissima: sei sola e se non hai qualcosa da dire o non sai come dirlo sei inutile. laura marling è una delle poche sa raccontare.

Savages – Silence Yourself

è difficile distinguere tra posa e autenticità. ma, una volta uniti i puntini che partono da qui ed arrivano a ian curtis, resta solo il miglior disco post-punk (non so se si può dire post-punk oggi) degli ultimi anni [NOTA tra un paio di mesi cambierò idea, temo. il disco è bellissimo comunque]

Baustelle – Fantasma

dai baustelle voglio il racconto amaro del passato che non tornerà, l’amarezza del crescere, le pose sull’essere fighi a milano ma con la testa (o almeno parte di essa) nella provincia. fantasma è il racconto catartico (spero per loro) e, in fondo, ottimista, della morte e, ovvia conseguenza, della vita. spero che sia una parentesi (che, comunque, contiene due delle vette massime del bianconi: nessuno e il futuro).

Massimo Volume – Aspettando i Barbari

un disco che fa paura, in bilico tra la tensione del presente e l’evento che rovinerà tutto, i barbari.

Jex Thoth – Blood Moon Rise

lo stato dell’arte del metal che va di moda ora, fortunatamente. se fossi religioso sarei molto turbato.

Marnero – Il Sopravvissuto

un racconto disperato e nichilista di un viaggio verso il niente. nessuna speranza. il viaggio, epico, senza meta e fino alla sconfitta. praticamente il ritratto della nostra generazione che si perde (meglio, si fa disperdere) invece di spaccare tutto.
il mio disco del 2013.

Chvrches – The bones of what you believe

il disco pop (è pop, solo che nelle riviste di tendenza lo ribattezzano per darsi un tono: ascoltare pop è disdicevole) che non vi vergognerete di avere a casa. ottimo spunto di conversazione.

Mazzy star – Season of your day

tutti siamo ancora innamorati, non corrisposti, di hope sandoval. un tuffo nel passato, senza muoversi di un centimetro.



pezzi rap per ristabilire le distanze
ottobre 26, 2013, 9:11 am
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si dice che il rap sia, finalmente, di moda in italia. questo ha prodotto, in ordine casuale:

moreno idolo delle ragazzine (senza dire parolacce, che sua madre si risente), dargen d’amico incidere l’incredibile bocciofili (l’equivalente musicale di bracardi), fedez esistere e fare comunella col botulino di simona ventura, emis killa fare figure di merda davanti a dj premier (sul disco si è scelto come ospiti, per dirne due, max pezzali e j ax), i club dogo degenerare da musicisti in sogni erotici di briatore, clementino duettare con jovanotti (bombardati di bling bling uno ci prova in tutti i modi), l’esplosione del cosiddetto lolrap (come striscia la notizia, il giullare anestetizza i contenuti). sicuramente mi dimentico altre degenerazioni.
però l’interesse esiste, non si capisce se sia interesse per una musica che ha una storia (l’ultimo linguaggio che ha avuto peso?) o per il possibile impatto commerciale che moreno in costume da bagno possa avere sui ragazzini.

un certo numero di pezzi che chi ascolta fedez (ma anche chi ascolta guccini o i four tet) deve conoscere per capire che ha sbagliato tutto.

Grandmaster Flash & The Furious Five – The Message
contare i gradi di separazione con bocciofili. a parte la totale innovazione musicale (perchè campionare solo funk quando a disposizione esiste il mondo?) spiega al mondo che l’hip-hop può raccontare il male.

Eric B & Rakim – Eric B is President
cazzo figa i club dogo geni fanno i pezzi più lenti.

Public Enemy – Rebel Without a Pause
inflazionoato: l’hip hop è la cnn del ghetto. i public enemy ci mettono sopra il carico identitario e politico che, senza pause, porta inevitabilmente al cambiamento.

Run DMC – My Adidas
l’identità è anche di gesti, oggetti e luoghi. è anche l’occhio lungo di un marchio tedesco in decadenza. cose che capitano.

Nas – NY State of Mind
anni dopo the message. con altre parole (nas fosse stato bianco e ricco si studierebbe nelle antologie di letteratura contemporanea, non avrebbe fatto il rapper ma lo scrittore intellettuale con gli occhiali tondi), la lotta di un uomo per essere se stesso.

Tupac – Changes
quello che qui dovrebbero fare i cantautori altrove lo fanno i rapper. non è (noiosa) canzone di denuncia in pantofole, è sopravvivenza e, ovvio, urgenza.

Common – I Use to Love H.E.R.
un atto d’amore e di malinconia.

De La Soul – Me Myself and I
a un certo punto qualcuno decise che non tutto è violenza e che esiste anche l’amore.

Kanye West – Monster
gli anni 00 sono quelli del postmoderno, dicono. le contaminazioni, le influenze di tutta la cultura pop e le le radici ben piantate. il re.

Antipop Consortium – Laundry
essendo roba di moda (il rap è serio e vende milioni) ci si sono buttati anche i fan della musica alternativa, spesso non capendo le origini. si creano cortocircuiti e flussi di coscienza.

Tyler, The Creator – She
piccole storie di miseria, le polemiche sono gratis, gli incubi compresi nel pacchetto (in realtà la cosa bella del collettivo non sono i testi ma le basi, nervose e calustrofobiche, semrpe).

Iggy Azalea – Work
dalle pagine di vogue, lo stile. invidia.

[manca roba, ovvio. si parla di 40 anni di storia.]



amici, i super ospiti.
luglio 16, 2013, 5:40 PM
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meh.ro6762

gli amici di maria de filippi marceranno su livorno. la città che ha visto nascere modigliani, paolo ruffini e solange verrà ferita nel suo animo più profondo. nessuno sarà risparmiato ma, per fortuna, nessuno è indifferente. le reazioni piuù veementi, una nuova resistenza culturale, si registrano sul principale social media indipendente. praticamente chiunque ha qualcosa da dire su questa vergogna.

la questione è divertente e ci si possono fare diverse riflession/speculazioni.

la prima, praticamente ininfluente, sul valore artistico dei quattro e, volendo essere fantasiosi, sul valore dei talent show. senza girarci intorno, i talent show stanno mantenendo in vita la musica nazionalpopolare italiana, che è quella roba che si canta ai falò davanti sulla spiaggia di valore artistico quantomeno opinabile. prima era mantenuta in vita dalle case discografiche. ha prodotto little tony, marco masini, eros ramazzotti. ora è tenuta in vita dal botulino di simona ventura e dalle mascherate di elio (che grandi musicisti, signora mia). escono fuori cose infime, cose buone e cose eccelse, ora come 30 anni fa, anche se il giudizio vero sul valore lo daranno il numero di brani presenti nei cd da regalare alle eventuali fidanzate: per ora la cura surclassa amami di emma, ma il tempo è dalla nostra parte. in tutto questo gli scemi di amici rappresentano alcuni dei prodotti di questo giro qui, non i migliori ma nemmeno i peggiori: nel complesso è più onesto moreno di jovanotti, uno che, inizialmente, è stato in grado di portare il rap in italia dopo averlo accuratamente svuotato di ogni significato e poi è riuscito a rendere mainstream un’idea di un altro mondo possibile degna del peggior simpatizzante pd. almeno moreno ha dietro fabri fibra.

la seconda, difficoltosa, è il ruolo dei media mainstream nel creare e imporre modelli di comportamento. che, nel linguaggio di facebook, si risolve con una citazione di fabio fazio, in un falsh mob powered by senonoraquando, nel postare un’ospitata di saviano alla bocconi, nel commovente video di una bambina salvata dalla cellule estratte dalle corna di un ippogrifo morto (di morte naturale, in serenità, noi siamo contro la morte violenta, anche contro la morte delgi acari disciolti nei succhi gastrici). [NOTA non so se l’ippogrifo abbia realmente le corna, controllare su wikipedia].
il fatto è che ogni comportamento è imposto dalla cultura mainstream, a livorno come ovunque. dall’aperitivo ai cappellini new era (ho scoperto questa roba da poco e mi ha colpito adeguatamente), dai saldi da tezenis all’abbonamento a internazionale (si sa, l’oroscopo di brezny è irrinunciabile, altro che paolo fox, roba da massaie).  la controcultura, le avanguardie a livorno sono nate abortite: il fastidio creato dalla scritta sul muro non è quantificabile. lamentarsi della cultura massificata da tv di stato ciucciando un tè freddo è al limite del ridicolo (o è un approccio talmente postmoderno alla questione che non sono in grado di capire, mi cospargo il capo di cenere). [NOTA la cultura mainstream a livorno ha prodotto la più grande installazione degli ultimi 30 anni].

terza questione, la valorizzazione dei talenti locali. credo che ci si riferisca sia a quelli che, da anni, vivono nel sottobosco musicale della città sia a quelli che ambiscono a palcoscenici degni della loro bravura. tipo il festivalbar.
molti si chiedono perchè venga chiamata gente da fuori invece di far suonare la gente del posto “ma come?! l’anno scorso c’era il palchetto dove si sono esibite GRATIS 1000 band locali che hanno avuto un così grande successo”. i presupposti terrificanti di questo ragionamento sono principalmente due: che sia giusto suonare gratis (eh, signora mia, la gavetta, quese band sono choosy) e che sia giusto dare spazio a chiunque, uccidendo la minima idea di qualità. oltre al fatto di considerare l’essere livornesi un valore aggiunto a prescindere: i viginiana miller sono uno dei migliori gruppi in circolazione non perchè livornesi ma perchè capaci di cose incredibili. probabilmente essere livornesi influenza il risultato, allo stesso modo che essere milanese ha influenzato i risultati di jannacci, per dire.
ho visto centinaia di concerti di band livornesi, in tutti i contesti. ho visto band eccellenti (non metto link, chi è eccellente lo sa) e band mediocri (non matto link, i mediocri si risentono molto) suonare nei centri sociali, nelle piazze, nei locali, nei pub, per strada. lo spazio se lo sono preso, l’hanno cercato e se lo sono rivendicato, senza elemosinare il palchetto sponsorizzato. è pacifico che la città, a parte le elemosine, non valorizzi le realtà locali e non abbia la minima intenzione di investire in cultura (perdonate il termine).

è questo l’ultimo argomento di discussione giunto a seguito dell’orrido annuncio della calata in città delle truppe mediaset. da anni lo sviluippo di livorno prescinde dalla cultura. non importa fare l’elenco, ci sono appositi gruppi facebook di indignazione collettiva. la risposta di pancia è, appunto, una generica indignazione, la creazione dell’apposita pagina facebook, l’iniziativa di piazza (con fantasia che non siamo più negli anni 70) e l’oblio.
sputare in faccia a chi ha ucciso la città è doveroso, come è doverosa la resistenza, anche se solo di pancia, all’azzeramento di ogni istanza che abbia un orizzonte più vasto dell’isola d’elba. ma è stato catartico vedere la sorpresa nei commenti delle persone: ma come? c’è la merda ad effetto venezia? nessuno dice niente? almeno bobo si poteva fare, no? è sempre stato fatto.
il passato è, veramente, una terra straniera.

sigla

NOTA ultimamente sono fissato con lester bangs. quindi ho scritto a caso e non riletto.



è tempo di mettere nero su bianco: top 2012

finalmente posso essere 2.0. nel 2012 ho scaricato compulsivamente tantissimi dischi e ne ho ascoltati pochissimi. più della metà li ho cestinati al primo drop (skrillex è il tumore musicale del 2012, all’inizio degli 00 i post teenager almeno avevano band con pettinature accettabili). i restanti mi sono piaciuti, anche moltissimo. ma la musica oggi, nonostante resti l’esperienza più totalizzante che mi resti, non è più il momento autistico da camera, il dialogo intimo tra te e il tuo coetaneo americano che ti racconta. è la schizofrenia di youtube, di soundclouds, di tweet e facebook. è la sublime esperienza di passare dalle serebro (quello che un dilettante come david guetta non avrà mai il coraggio di fare) alla loro parodia più espilcita, da lana del rey alla versione migliorata della stessa. senza pause e senza riflessioni. la musica non ne viene svalutata, non siamo negli anni 70 con i concept mattoni, ma diventa un’esperienza totale e democratica. diventa facile scegliere ma diventa facile sbagliare. ma qui la colpa è di chi ascolta e sceglie di non scegliere: a quel punto psy diventa equivalente a cisco.

10. Fiona Apple – The Idler Wheel Is Wiser Than The Driver Of The Screw And Whipping Cords Will Serve You More Than Ropes Will Ever Do

ci sono due cose. la prima è la musica, direttamente trapiantata dagli anni 90 (è giusto che ognuno faccia quello che sa fare) ma riletta a 35 anni: più cinismo, stessa solitudine e disperazione. e la stessa consapevolezza di se (dovrebbe essere un manifesto per ogni donna che si ama), enorme, sicuramente più rabbiosa di ogni dito medio di M.I.A. l’altra è la grandezza iconica. la bellezza e il modello estetico: è un modello di 20 anni fa, resta perfetto. io amo Lady G, ma serve anche la realtà.

09. Cloud Nothing – Attack On Memory

in un mondo perfetto sarebbero i Nirvana. con la schizofrenia del millennio (o senza la lucidissima maturità di cobain), tra post-rock e botte di adrenalina a bassa intensità. ogni adolescente dovrebbe stare qui, invece ci stanno i trentenni senza futuro.

08. Tame Impala – Lonerism

è facilissimo: i beatles acidi. i cream acidi (tutti), botte di free. forse in america è cool, qui è roba da hipster (che significa sfigati) e da nerd (che significa ugualmente sfigati, però senza donne/uomini). dovrebbero essere la colonna sonora di viaggi acidi nel deserto, robe così. qui c’è il mare, quindi si potrebbero riciclare per falò sulla spiaggia che smetterebbero di essere protorave e inizierebbero (tornerebbero) ad essere esperienze d’amore. purtroopo non vado alle spiaggiate da quasi 10 anni. mi resta di ascoltarli mentre cucino fingendo che sia peyote.

07. Sharon Van Etten – Tramp

talmente oscura e dolorosa da risultare sublime. alla fine è folk, ma proviene dalla metropoli.

06. Corin Tucker Band – Kill My Blues

magari è solo la nostalgia di una delle band più enormi di sempre. e ripercorrere quel cammino diventa sempre un’esperienza. o, più semplicemente, e realisticamente, è la capacità che ha di rivendicare e di rivendicarsi. resta l’inno di ogni lotta: forse prevedibile ma efficace comunque.

05. Lana Del Rey – Born To Die

l’esperienza lana del rey è totale. ed è il racconto perfetto della nascita e del futuro tramonto di una star pop: il pubblico indie ridacchia e ironizza, Lei pontifica dai palazzi di ogni città, travalica la musica (che, almeno nei singoli, è incredibilmente bella) e diventa l’icona pop più splendente di sempre (sempre, negli anni della comunicazione di massa e sticazzi dura circa sei mesi).

04. Unsane – Wreck

gli unsane sono il nostro country.

03. Jess and the Ancient Ones  – Jess and the Ancient Ones

nei siti metallari spiegare i riferimenti (i riff sono sulfurei. sui riff si staglia la voce spiritata. gli inserti di hammond riportano indietro di 40 anni. echi di blue cheer). semplicemente occorre, come ogni anno, fare le pose giuste.

(il disco è meraviglioso, tipo incubo hippy di inizio 70).

02. Maria Antonietta – Maria Antonietta

in giro viene derisa (probabilmente perchè non sa cantare e non sa suonare). però i suoi concerti sono pieni. perchè questo è il disco punk che, in italia, non usciva da anni (punk nel senso che è curatissimo ma sembra che non gliene freghi  un cazzo, punk come le candeggina rock). fossi una donna sarebbe il mio disco preferito del 2012, per i ricordi. fossi una donna di 18 anni sarebbe il mio disco preferito di sempre.

01. Bob Mould – Silver Age

“È esattamente ciò che sembra: sono 38 minuti di rock”. lacrime.

00. Fuori classifica, troppo grosse per esistere

la più incredibile esibizione che abbia visto quest’anno, in loop da mesi. enfatica, esagerata, impeccabile. è difficile stabilire il confine tra la finzione (è una serie tv) e il trasporto vero che lea michele (la più grande di tutti e tutte) ci mette. rendere la merda il più prezioso degli ori.

one shot of glory. probabilmente è già sullo scivolo del tramonto. ma questa è la canzone pop perfetta. la migliore di sempre. sarebbe troppo grande per chiunque.



gleek
luglio 9, 2012, 12:35 PM
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negli ultimi mesi ho ascoltato quasi esclusivamente roba dalla colonna sonora di glee, senza dubbio la miglior serie televisiva che abbia visto dai tempi di BTVS, alla faccia di dexter, lost e games of thrones. roba senza anima e senza buoni sentimenti.

glee è il sogno americano: non si vince sempre ma si lotta insieme, ci si rispetta e ci si ama per quello che siamo, orgogliosi di essere diversi e di essere una famiglia (costruita, come deve essere, su base volontaria, alla faccia della famiglia naturale di stocazzo). nel frattempo si canta, riuscendo a dare dignità alla merda FM più becera uscita in america da sempre. rendere i journey una cosa pregevole può riuscire solo decontestualizzando e rimescolando la cultura pop dall’alto al basso (è di moda ora. è postmoderno). in più serve il talento straripante di lea michele (va vista in lingua. il suo personaggio -perfetto- doppiato perde almeno il 50%).

capisco che del sogno americano possa non fregarne un cazzo (a me non me ne frega un cazzo fondamentalmente, ma sono interessato alle messe in scena). capisco che si possano cercare robe più virili (guardare glee non vieta di apprezzare anche lost, sorprendentemente). capisco anche che magari musicalmente si cerchi gente più seria, con più fotta o, semplicemente con un pubblico migliore (in genere alterno glee agli us christmas. poi se la roba che fa figo ascoltare sono gli ultimi sottoprodotti dell’indie rock italiano meglio non alternare glee con niente ed ascoltare i medley dei journey a ripetizione).

però, nel momento che si scelgono la leggerezza e i buoni sentimenti, prima di dedicarmi al revival coatto degli 883 (l’esegesi di con un deca equivale a svuotare di senso 20 anni di musica. meglio emma che, come si dice, stupida è e stupida resta senza che nessuno ci voglia trovare un minimo di nulla) mi ascolto chi veramente vende bontà ed amore.

(scritto e non riletto sotto minosse)



l’estetica conta
gennaio 30, 2012, 8:00 PM
Filed under: dischi

è l’unica copertina possibile per quello che probabilmente sarà l’unico disco necessario nel 2012. perchè nel mondo 2.0 l’immagine rappresenta tutto e prescinde dai contenuti. in questo caso è perfetta: la rovina passa da un bagno di sangue (loro). quando poi anche i contenuti saranno perfetti, come in questo caso, siamo a posto e possiamo andare tranquilli a spaccare cose.

 



[2011] top 15

è stato un anno esaltante, almeno numericamente. anche qualitativamente, anche se tanti non se ne sono accorti. ma la colpa è di chi ascolta e non di chi fa musica. chi ascolta ha la presuntuosa abitudine di cercare i beatles, i joy division o gli smiths. non ci sono più e non ci saranno. ce ne sono altri, altrettanto grandiosi probabilmente. solo che si muovono in un contesto diverso, con tempi rapidi. serve pazienza e serve di non adeguarsi ai tempi che sono imposti.

Black Keys – El Camino

il motivo principale è la figosità di dan auerbach, l’altro è che hanno fatto un disco talmente crudo e retrò che trasuda realtà. non mi interessa il blues, nemmeno tanto il blues rock, mi interessano i giubbotti in jeans, le barbe e, purtroppo, la virilità che esce da ogni nota.

 

Bon Iver – Bon Iver 

il 90% è questo meraviglioso pezzo strappato dalla colonna sonora di top gun, l’uso del vocoder che nemmeno cher dei tempi peggiori (ma tanto kanye l’ha fatto diventare una cosa all’ultima moda). il restante 10% che lo fa essere uno dei dischi migliori del 2011 è composto da una manciata di bozzetti di paesaggi (e sensazioni) d’altri tempi.

 

Lydia – Paint it Golden

in italia sono inspiegabilmente ascoltati solo da metallari pentiti. nel resto del mondo sono un gruppo pop capace di grandiosità, di riempire tutti gli spazi con epicità, melodie incredibili e, ovviamente, lo sguardo sempre rivolto indietro. molti non lo sentono ma la nuova musica progressiva passa da qui.

 
Earth – Angel of Darkness, Demons of Light I

le rappresentazioni degli spazi americani consolidate sono quelle di morricone nei film western o quelle di bruce springsteen (la redenzione, il ragazzo di campagna in blue jeans che cerca spazio nella metropoli, roba che in italia è ligabue che mangia una piadina con lo squaqquerone all’autogrill). gli erath raccontano l’altra america, quella degli spazi del nulla, un viaggio con la scimmia di essere niente nel nulla.

 
Marissa Nadler – Covers Volume 2

sul disco di inediti ha fatto una scelta precisa, quella di piacere. qui invece si dimostra una delle poche in grado di toccare certi pezzi, mettendoci dentro la freddezza, il sogno, gli alberi e tutto il resto.

 
Josh T Pearson – Last of the Country Gentlemen

terrificante. isolazionista e pieno di dolore, probabilmente catartico per l’autore. è un disco religioso, ma non più con jisus in prima linea. da studiare per far capire ai cantautori tristi (che ci piacciono) che è quando si è disperati davvero che vengono fuori i capolavori. JTP maestro di vita e professore di religione.

 
Saviours – Death’s Procession

il metal classico è oggi considerato un genere per adolescenti sfigati (quelli che non hanno vita sociale, si fanno le seghe e giocano ai videogames) o per vecchi dinosauri che non sono in grado di crescere. è vero, perchè il metal ha perso il senso di ribellione che deve avere ed è diventato un genere da esteti del cazzo e da impiegati della musica. per fortuna stanno tornando band che suonano come se non ci fosse un domani, fatte per spaventare i vicini mettendo il volume a 10 (il metal si ascolta a 10).

 
Kaos One – Post Scripta

il rap è una cosa seria. in italia l’unico che lo fa seriamente e kaos. il racconto di ogni disagio (vero) e dell’impossibilità di redenzione. solo rassegnazione e fastidio.

 
St. Vincent- Strange Mercy

è quasi il disco pop perfetto. strabiliante per capacità tecniche, per lustrini, perchè ci sono melodie perfett che guardano in tutte le direzioni. riconcilia con l’idea di musica po come qualcosa di grande e che ha tutto il diritto (ha il dovere) di farsi chiamare arte. poi è così bellina.

 
Death Cab For Cuties – Kodes & Keys

mi pare che non sia piaciuto a nessuno. a me si, e molto. è solo un disco indie rock che ci ricorda che non è necessario essere subito adulti ma si può anche essere post adolescenti per diversi anni, a prescindere dalle condizioni di vita, lavorative, familiari. serve solo tenere gli occhi aperti, è necessario per sopravvivere. altrimenti tocca rimpiangere i grateful dead all’infinito.

 
Kasabian – Velociraptor!

il britpop, inevitabilmente, ha segnato quelli della mia generazione. è stata un po’ la nostra versione dei ragazzi perduti, mantenendo però l’educazione e la rispettosità propria dell’inglesità dopo siamo stati segnati dalla musica elettronica, dal mangiare le droghe e dalle luci al neon. in futuro probabilmente vorremo andare allo stadio ai megaconcerti raduno. i kasabian mettono insieme tutto questo e ci permetteranno di cantare allo stadio rispettando allo stesso tempo la musica.

 
Brutal Truth – End Time

si portano sulle spalle la storia e la riscrivono ogni volta che entrano in studio. stavolta hanno scelto di tingere di blu(es) la materia più integralista che ci sia.

 
Laura Marling – A Creature I Dont Know

un disco sottile e bellissimo, sottile e in sospeso, tra l’apparente passività della voce e gli arrangiamenti da pratino all’inglese. è la cosa più simile alla suzanne vega più agreste che abbia ascoltato ultimamente.

 
Raein – Sulla linea di orizzonte di questa vita mia e di tutti gli altri

la dimostrazione che l’emo non è un genere per gli emo. è roba seria, che guarda dentro costantemente.

 
Gallhammer – The End

per chiudere il cerchio che parte dal punk (quello nichilista) e arriva al black metal (che è, per definizione, nichilista). un gioiello di negatività.



risposta italiana ai gruppi rock femminili
luglio 18, 2011, 11:52 PM
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è una chiave di ricerca. ci ho pensato. mi piacerebbe avere un robyn italiana, una lykke li, una marissa nadler. non ci sono, i posti in alto, per ora, sono presi. ma non è nemmeno colpa della tradizione nazional popolare, dei talent show o della natura conservatrice italiana. anche in america ci sono i talent show e roba simile (però laggiù portare in tv la musica produce roba strafighissima come questa, mentre qui, a parte il fenomeno giusy ferreri ha prodotto solo aspiranti baristi) ma, nonostante tutto, riescono ad emergere (riescono cioè a diventare grandi e grossi) realtà pop assolute.

comunque, se penso al rock femminile mi vengono in mente questi sotto che, con un’unica canzone, sono la risposta italiana al rock, al pop e anche al divertimento (che poi rock femminile non significa nulla. a meno che tu non sia kathleen hanna ❤ <3)

PS c’è stato il concerto di bobo rondelli alla festa del pd, con annessa polemica. diverse chiavi di ricerca sul tema portano qui. quest’anno non c’ero: alla festa del pd preferisco non andare, a meno che non ci suonino, che so, bobo rondelli (ma nel 2010) o i gang of four (ma non ci suonano: primo perchè sono marxisti, secondo perchè nessuno del pd locale ne conosce l’esistenza).
però, nel caso di quest’ anno, più che criticare la reazione penosa e scomposta del vecchio (dispregiativo) militante del partito egemone, rifletterei sull’opportunità di supportare certi soggetti suonando per loro o presenziando ai loro requiem funebri)



brevi

a livorno non c’è un cazzo. è il refrain ricorrente da anni ma quest’ anno è ancora più attuale.

scappato italia wave (la puglia è in grado di succhiare ogni centesimo da chi si avvicina ai confini, livorno, per scelta, fa fuggire ognuno, a parte ristoratori e truffatori), resta il ridicolo effetto venezia (un tempo, forse, espressione di un quartiere peculiare, ora semplice sagra del fritto e del lavoro nero) di cui ignoro il programma (un concerto di qualche scuola di musica sarebbe grasso che cola) e il livorno rock village (una ricettacolo di brigidini, vendite di folletto e cover band). poi, chiaramente, c’è la festa del pd. parlarne male è come sparare sulla croce rossa. si segnala l’ovvio bobo rondelli (ci soffro) e, soprattutto, lo spettacolo del centro vertigo di marco conte. questo tipo è l’autore della prima fiction livornese. è la cosa più bella ed angosciante che abbia mai visto. è importante diffondela, si merita di prendere sputi da ogni parte d’italia, non solo da noi astiosi e invidiosi (perchè siamo invidiosi) frequentatori di internet.

a breve la cosa migliore è una festa autogestita e autorganizzata che fa vivere un meraviglioso spazio lasciato all’abbandono dall’amministrazione. oltre al doveroso sottotesto politico c’è anche il tentativo di riportare uno stile di musica radicale nei luoghi dove deve stare, quelli dove una cultura musicale riprende di significato e si slega dalla logica (imposta) di droga e marciume. è riappropriarsi del corpo e dello spazio, le sostanze sono un accessorio non fondamentale, anzi. andare e liberarsi.

nel frattempo ci sono stati, entro 100 km, due concertoni.

[foto by froggypunk]

epici e intensi, un’orchestra non più indie che ammicca alle grandi arene. il più grosso gruppo degli anni 10, con la pericolosa tendenza al coro da stadio: il rischio di essere i nuovi U2 è concreto. serve vederli ora e preservarli.

[foto by marcoo]

è pronto per la pensione, da anni. è grandioso vedere una leggenda. ma ormai è una leggenda che suona per dovere di firma, con l’intensità di un ragioniere in vacanza. restano alcuni momenti notevoli (venus in furs, pale blue eys, sweet jane) altri imbarazzanti (sunday morning suonata come farebbe un nonno la domenica mattina per addormentare la nipotina, femme fatale  con lo stesso nonno che parla con la sua badante). rivedibile (anche se non credo che ci sarà occasione).

[bonus]

uno dei più originali e personali gruppi livornesi. finalmente un video che, oltre ai mezzi tecnici, mostra un’idea narrativa. e narra una storia per immagini, con la dovuta cura per la regia, ammazzando (alla buon ora) l’ipercinetismo che caratterizza i clip italiani (ma anche molto cinema a dire il vero: per non rendere stucchevole e epilettico un video bisogna essere tony scott ed in giro ce ne sono pochi. per narrare per immagini serve avere delle idee).

un applauso ai fratelli Paolo e Marco Bruciati, registi.

[bonus 2]

solo per godere.



¡Que se vayan todos!

in spagna stanno accadendo delle cose. cose belle che, chiaramente, qui calano dall’alto col dovuto sottotesto di qualunquismo e ambiguità.
non è questo il luogo per commentarne i significati politici  (il luogo è ovunque).
qui si nota qualcosa che si sapeva  ma che deve riemergere con forza.
ogni cambiamento, ogni rivolta, anche solo in potenza, ha e deve avere i suoi suoni. la musica (come il cinema, l’arte, la comunanza di immaginari) riesce a creare il contesto culturale e il fermento nel quale fare nascere ogni cosa.
dalla spagna arrivano delle note. e fanno capire come, anche da questo punto di vista, l’italia sia ultima tra gli ultimi.
penso ai cortei con le note di guccini e de andrè (è chiaro che la musica di una sconfitta generazionare deve fare da colonna sonora ad un’altra generazione), ai modena city ramblers radicati nell’immaginario collettivo degli adolescenti, ai RATM sotto anestesia, mixati insieme a dei SOAD qualsiasi. alla rinuncia all’impatto dell’hip-hop, a meno che non si tratti di un surrogato borghese come caparezza. alla riduzione della techno a musica da “fighetti”.

la lotta in spagna si nutre di musica che vive. si capisce l’importanza di underground resistance come quella di uno dei più radicali collettivi esistiti (esistenti), si trasla l’assalto di NTM supreme dalle banlieu alle piazze delle metropoli, si destruttura la realtà coi fugazi e si prende la stessa realtà a schiaffi come fa M.I.A., in un’ ovvia contaminazione culturale.

qui c’è la colonna sonora di un momento che è qui e ora, anche se a qualche migliaio di km.
(le bonus track le ho aggiunte io, fosse mai che qualche dj da manifestazione locale abbia un’epifania).

serve la nostra.