Filed under: dischi | Tag: bandcamp, il mucchio, inconsapevole, livorno, redivivi, teatrofficina refugio
c’è chi ne parla, chi si sbatte, tra mille difficoltà per organizzare concerti, serate, festini, chi la suona.
l’inconspevole records, insieme a il mucchio, ha realizzato una compilation, scaricabile gratuitamente, dove si può ascoltare un po’ della bella livorno che tutti provano a raccontare. parziale ma gustosa.
ne servirebbero di più: registrazioni di concerti (c’è chi lo fa), anche amatoriali (tutti hanno il loro cazzo di ipod o fakepod), autoproduzioni grevi (distribuitele, anche gratis, a chiunque), autoproduzioni curate (la rete risponderà). fatela (facciamola) girare.
Filed under: dischi | Tag: arcade fire, baustelle, black mountain, classifica 2010, classifica dischi pop, deerhunte, kanye west, massimo volume, sleigh bells, the national, the sword, third eye foundation
massimo volume – cattive abitudini ritrovarci qui, di fronte alle nostre parole. il tempo fermato, nuove storie, nuove persone. parla a chiunque abbia la coscienza di ascoltarsi.
third eye foundation – the dark l’esperienza da solista disperato è servita. post tutto, un monolite nero di cupezza, radicale.
baustelle – i mistici dell’occidente cercando di sopportare l’aria da dandy del cazzo di bianconi e gli urletti delle ragazzine ai concerti (una cosa che non avevo mai visto ad un concerto dove ero per scelta) resta il racconto, carico e malinconico quanto basta, del pensiero (e delle miserie) del decennio (nero) italiano.
arcade fire – the suburbs sono la cosa rock più grande attualmente in circolazione. e si capisce perchè: su un’architettura perfettamente pop creano strati e disegni sonori strabordanti. ma nella loro pomposità (che, a dire il vero, in questo ultimo cd è limitata) rimangono perfettamente riconoscibili, coerenti e intimamente pop (significa che sanno scrivere canzoni, che sanno scrivere ritornelli e che quando passano alla radio li riconosci e ti fermi).
the national – high violet per prima cosa la fenomenale voce di berninger, poi la faccia dello stesso che piace tanto alle mamme, infine il suono nostalgico che ha fatto vincere obama. retorica, buoni sentimenti e qualità. un disco emozionante.
deerhunter – halcyon digest è necessario, periodicamente, dare un significato alla categoria indie-rock. l’etichetta discografica è giusta, il suono anche, con concessioni da operetta pop.
kanye west – my beautiful dark twisted fantasy quando il re parla noi sudditi ascoltiamo. riscrivere un genere che ha la storia dell’hip-hop non è da tutti. kanye ha scelto l’unica rilettura possibile, profondamente urbana e contaminata con tutto quello che aveva intorno.
the sword – warp riders sanno perfettamente che tutto, nel metal, è già stato detto dai black sabbath. basta metterci il carico di una lieve atmosfera anni 70 e un concept da romanzetto urania. il perfetto disco da nerd (nonchè il disco metal -sangue, rabbia, impatto e quelle cose lì, non cavalieri e cazzate- migliore del 2010). anche se credo che i nerd ascoltino non so quale merda. forse gli slipknot.
sleigh bells – treats il rumore e l’impatto. e la voce, da teenager pop, di alexis krauss. non serve essere puliti e levigati per fare grandi canzoni pop ed avere l’impeto noise del post hardcore.
black mountain – wilderness heart tra il deserto, gli ovvi black sabbath, i jefferson airplane e david bowie. il miglior disco del 2010. perchè fatto esclusivamente di grandi canzoni. non è poco, anzi è tutto.
Filed under: dischi | Tag: arcade fire, black keys, black mountain, caribou, cough, massimo volume, pop, rumore, tame impala, the national, top album 2010, zoroaster
il momento che tutti aspettano. le classifiche di fine anno sono quasi l’unico motivo per il quale le persone ascoltano musica.
per dire “io l’avevo detto” o “questi non ci capiscono un cazzo”. per commentarle insieme ad uno spritz.
la prima che mi è capitata è quella del noto mensile rumore (tipo la rivista di riferimento per i metallari convertiti all’indie rock che mantengono comunque una grettitudine tale da tenerli lontani dalla verbosità di blow up).
eccola (mi pare che vogliano fare un po’ i fenomeni):
Tame Impala – Innerspeaker un disco texano del 1974 che sembra registrato nel 2020.
Caribou – Swim il modo per fare ascoltare il krautrock agli strapponi del sabato sera.
Janelle Monàe – The ArchAndroid ecco quello che tocca agli indie snob nel 2010: il revival. stavolta funk/r’n’b, ovviamente postmoderno (è francamente insopportabile).
The National – High Violet l’archetipo del disco democratico: triste, sconfitto e conservatore. sanno scrivere canzoni perfette.
The Frowning Clouds – Listen Closeiler non poteva mancare il disco garage (rispettoso).
Massimo Volume – Cattive Abitudini il ritorno di Clementi serve a far capire a chi si è nutrito delle spoglie dei Massimo Volume per tutti questi anni (tutta la scena rock italiana) chi è veramente il miglior autore italianod egli anni novanta. lacrime e ferite.
Beach House – Teen Dream uno di quei dischi leggeri e sognanti che ti riconciliano col mondo.
Arcade Fire – The Suburbs questo è un disco GRANDE. sovrabbondante, da orchestrina/carrarmato pop. una spanna sopra agli altri eroi moderni, spiegano come si può essere capaci di metabolizzare tutta la musica precedente a loro e riproporla totalmente senza perdere di vista quello che la gente vuole: le canzoni.
Cough – Ritual Abuse nichilismo e misantropia. necessario, visto che tutti i capi del doom stanno scoprendo la psichedelia o i feedback.
Roky Erickson (with Okkervil River) – Love Cast Out All Evil la sofferenza di una leggenda accompagnata dal più disperato gruppo contemporaneo. il disco della speranza.
Zoroaster – Matador come asciugare i baroness dal loro super ego strumentale. o riempire di acidi i kyuss (con in cuffia gli sleep).
Black Mountain – Wilderness Heart il miglior disco rock (tutto il rock) del 2010.
Black Keys – Brother questi sono i dischi che servono al blues tutto per togliersi quella nomea di genere di nicchia, adulto, di musica dell’anima. rude, chiaramente sofferente, polveroso.
Field Music – Measure una band inglese, con tutti i pro e i contro del caso.
Os Haxixins – Debalxo Das Pedras non pervenuti
Joanna Newsom – Have One On Me asciugato dalle strabordanti orchestrazioni del precedente riesce a fare un triplo disco di arpa voce e poco altro composto di canzoni. per fare questo occorre essere qualcosa più degli altri.
Floored By Four – s/t mike watt se la tira e fa il virtuoso coi suoi amici.
Wild Nothing – Gemini non è solo venerare i my bloody valentine o i cure. è anche essere capaci di scrviere canzoni pop. a tutti piacciono le canzoni ed è giusto riconoscere quando qualcuno è in grado di comporle.
Hot Chip – One Life Stand balletti soft.
The Drums – s/t insopportabili anche solo per le loro facce da cazzo.
Filed under: dischi | Tag: black eyed peas, dance pop, die antwoord, katy perry, kesha, marina and the diamonds, mtv, pop, rihanna, robyn, vasco
tutti gli ascoltatori seri di musica sono impegnati a:
smembrare e sezionare l’immaginario dell’unico vasco che amiamo, per decidere se buttare giù dalla torre o bagnarsi (l’ovvia via di mezzo non sembra contemplata),
chiedersi chi è fausto,
accumulare materiale in vista delle classifiche di fine anno,
decidere la next big thing in campo drone/doom/indie-folk/avantgarde-hip-hop/folktronic/post-rock/cantautorato-rock, senza soluzione di continuità,
aggiornare il proprio blog/twitter/facebook o scrivere sul forum di riferimento.
tutto questo tralasciando il ruolo leggero della musica: non tutti fanno una vita che permette di farsi carico anche dei problemi con le donne dei dandy milanesi o dei problemi di obama. però prima di rifugiarsi nelle messe cantate (per espiare), nelle migrazioni collettive o nella fiction, ci si può dedicare al cosiddetto pop da mtv. c’è la giusta coolness, c’è un gran gusto melodico, c’è attualità. basta dire si e saperlo collocare al proprio posto.
Filed under: dischi | Tag: anni zero, canzoni da spiaggia deturpata, l'unico vasco che ci piace, le luci della centrale elettrica, leo ferre, lldce, mitico liga, per ora la chimeremo felicità
tutti pronti, chi col mitra puntato, chi con gli occhi già umidi di lacrimucce commosse. LLDCE non passa certo inosservato. perchè quello di Vasco Brondi è il progetto musicale che ha caratterizzato e caratterizza maggiormente il periodo in cui viviamo, fatto di incertezze e di ragazzine che vorrebbero essere perdute. è quello che per primo ha provato a raccontare gli anni zero (il lessico brondiano è collettivo e il nuovo disco da ampia scelta per aggiornare gli stati di facebook).
per ora la chiameremo felicità è un bel disco, musicalmente maturo (oltre a canali a questo giro è accompagnato da gente sparsa tra massimo volume, calibro 35 e compagnia), pieno di atmosfere rarefatte e distanti piuttosto che urgenti e nervose. più garage a milano che piromani. non è (più?) il semplice racconto di orizzonti sconfitti, Vasco (l’unico vasco che ci piace) parla per immagini, piccoli ma potenti attimi che possono essere assimilati e fatti propri solo col tempo, associazioni di idee distanti, riferimenti alti e quotidiani.
questo disco ci piacerà e tra non molto i nostri venerdi neri li impiegheremo per prendere freddo. allora ci troveremo schierati e scopriremo che la realtà del brondi è anche un po’ la nostra.
i critici troveranno tanti argomenti: che per ora la chiameremo felicità è uguale a canzoni da spiaggia deturpata (falso, ma non sarebbe nemmeno importante), che le sue sono parole in libertà accumulate con una certa casualità (non conta, LLDCE è immagine e non tanto narrazione), che copia de andre o gaetano (il provincialismo: avere dei paletti mentali invalicabili e rapportare l’esistente a quello. senza contare che sono riferimenti sbagliati: gaetano raccontava e dissacrava l’italia degli anni 70, de andre ha narrato le vite degli ultimi e degli esclusi, brondi immagina quello che si vede dalla finestra).
i reazionari diranno che il glorioso passato della musica italiana non tornerà più: per fortuna, meglio il silenzio della prospettiva di una carriera da pooh.
gli altri ignoreranno e correranno da mediaworld a comprare il nuovo del mitico liga.
noi saremo più tristi ma comunque migliori. per ora ci basta.
Filed under: dischi | Tag: emidio clementi, luci della centrale elettrica, massimo volume, rock, vasco brondi
non che ci combinino molto tra loro (tempi diversi, riferimenti diversi), ma sono i dischi più attesi (da tutti, credo)
per caso ho visto i due video nello stesso giorno.
è vasco brondi. lei balla da sola in mezzo a una rotatoria. che se piange le si arrugginiscono le guance. è perfetta. già sono pronte file di persone a demolire (o a idolatrare, che è un po’ la stessa cosa).
11 anni dopo clementi torna per demolire un po’ di nostre certezze e per farci sprofondare un altro po’.
alla fine i ventenni ascolteranno i muse, i trentenni vasco e i veterani dal passato si daranno di gomito ai concerti, per ricordarsi che loro c’erano prima di atto definitivo.
è possibile amare entrambi, contemporaneamente. l’amico che ti racconta che siamo inadeguati, persi e, al tempo stesso, un poeti. il vecchio (matto?) che ti toglie la speranza: non ce l’hanno fatta loro e non ce la faremo nemmeno noi.
Filed under: dischi | Tag: antony, antony and teh johnsons, balera metropolitana, bat for lashes, blackroc, bobo rondelli, cocteau twins, fauns, hip-hop, lady gaga, maisie, mountains, rihanna, soap skin, st. vincent, the fame, the fame monster
altra obbligatoria classifica delle migliori dieci uscite musicali del 2009. resta fuori tanta roba bella e anche, chiaramente, tanta roba bruttissima incomprensibilmente pompata dalle gente che conta (questi meriteranno un post tutto per loro, mi viene il nervoso ogni volta che ascolto i loro dischi e, soprattutto, quando sento la gente parlare estasiata di loro).
Antony & The Johnsons – The Crying Light
i nostri piccoli cuoricini tristi si meritano Antony. l’amico buono che ti da una pacca sulla spalla quando sei triste e che ti porta in un localino nuovo che conosce solo lui per fare due chiacchiere. che poi non sarebbe un cosa così intima, visto che Antony è un gigante di due metri che tende al travestitismo. infatti la sua musica non è solo intima e da cuori distrutti (per quello c’è Matt Elliott, o anche Steve Von Till), è anche pomposa, esagerata e sopra le righe (sempre rispettosamente, però).
Lady Gaga – The Fame Monster
per fortuna esiste. per fortuna ha fatto uscire la ristampa del disco dell’anno scorso. per fortuna ha inserito dentro anche dei pezzi inediti, tra cui questa bad romance, talmente delirante da darci la conferma che il pop dance nel 2009/10 o lo suoni così o non sei un cazzo di nessuno. esistono cantanti più intonate, più belle, con canzoni migliori, vero. ma non esistono cantanti che si vestono coi pupazzi di kermit del muppet show. dovrebbe bastare per amarla alla follia.
Maisie – Balera Metropolitana
c’è tutto, anche quello che non dovrebbe esserci. e ci sono dei testi che fanno a pezzi l’uomo e lo espongono al pubblico ludibrio. la musica indie italiana dovrà confrontarsi con questo disco qui (perderà, ma ci si accontenta anche di bei dischi, non escono sempre capolavori assoluti che mettono una pietra miliare nella storia della musica).
Mountains – Choral
questa è ambient. l’ambient è una musica particolare, da trattare con cautela, si oscilla sempre tra la bellezza e la musica da sottofondo del supermercato. questo disco è bello, elegiaco e ricco di immagini bucoliche. non è che ci sia molto da spiegare o descrivere (non sono ondarock), si ascolta: la differenza la fa il fatto che non resta li come sottofondo.
The Fauns – The Fauns
è necessario, per tutti noi che sogniamo ancora i cocteau twins, trovare dei bei dischi di gruppi che si ricordano da dove vengono. chiaro, c’è meno classe, ci sono più chitarre. ma c’è anche piacevolezza e ricordo.
Bobo Rondelli – Per Amor Del Cielo
già detto, bobo ha trovato la sua dimensione: sempre intellettuale e ubriacone, però meno disperato. si compiace e ammicca. indolente e strafottente (ma meno che in passato), ci regala qualche perla.
St. Vincent – Actor
devo ammettere che ho una predilezione per gli arrangiamenti corali ed orchestrali, per le voci femminili delicate, per le pennellate di elettronica minimal. quando trovo tutto insieme mi esalto e mi commuovo.
Soap & Skin – Lovetune For Vacuum
ha fatto innamorare tutti. io che non sono immune alle mode mi sono innamorato. darkissimo e pesantissimo, bisognerà fare attenzione al prossimo: rischia di diventare una amanda palmer (o un personaggio simile) per emo-kids. ma rischia (speriamo) di continuare a fare dischi che spiegano la musica oscura ai 18enni.
Bat For Lashes – Two Suns
già detto. visto che bjork ha rotto il cazzo, ampiamente e da molto tempo e che kate bush è ormai passata, serviva una bimba nuova delicata, lievemente elettronica ed etnica allo stesso tempo. io prendo questa, anche perchè è un filo più commerciale delle altre (ed è un bene, commerciale va inteso come “piacevole all’ascolto” “non presuntuoso” e “non spaccacoglioni”). (nota: continuo a non capacitarmi di come l’hanno vestita nel video).
Rihanna – Rated R
ovvero: come passare da essere una teen-idol da pop facile facile (ma irresistibile) a essere l’autrice di un colosso che si può solo definire come gothic-pop da discoteca (o da radio).
Blackroc – Blackroc
il blues dovrebbe essere una musica che viene da dentro, non un esercizio di stile. i black keys hanno fatto questo, portando il blues negli anni 00, facendolo ascoltare ai fan dei tv on the radio e compagnia.
l’hip-hop è stato la musica delle black panther, è la musica della strada.
mettendoli insieme viene fuori una bomba in grado di smuovere (in un mondo migliore smuoverebbe anche le menti).